Come portare una persona affetta da autismo a beneficiare degli effetti positivi dello sport? In particolare, l’allenamento con i pesi è una strada percorribile? Vediamo cosa ne pensa Iris Padoan, coach e insegnante di scuola primaria con esperienza anche nel sostegno ad alunni diversamente abili.
Disabilità: la mia esperienza come insegnante di sostegno

So che il contenuto di questo blog si discosta nettamente dai consueti argomenti trattati nell’ambito del bodybuilding, ma credo rappresenti una bella occasione di riflessione per tutti noi.
Oltre ad essere atleta e top coach SBB, sono un’insegnante.
I miei due percorsi accademici sono: laurea in scienze della formazione primaria e magistrale in pedagogia dei processi educativi.
Attualmente ho la cattedra di italiano ma sino a tre anni fa e per 12 anni ho avuto (e voluto) l’incarico di sostegno nella scuola primaria, quella che comprende la fascia dai 6 ai 10 anni, per intenderci.
Mi sono iscritta al mio primo corso di laurea da donna adulta, mamma e lavoratrice. La maturità ha contraddistinto il mio percorso accademico; una consapevolezza che mi ha fatto apprezzare ogni passo del suo lungo e non semplice percorso.
Mi sono messa in gioco, scoprendo risorse insapute e maturandone di nuove. Quell’empatia e sensibilità verso le altrui difficoltà, frutto anche di un percorso di vita personale, ha trovato una collocazione spendibile.
La prima laurea l’ho conseguita in età adulta, era il 2008, e da subito ho iniziato a lavorare, inizialmente da docente precario, nella scuola proprio come insegnante di sostegno, con l’entrata in ruolo nel 2013, nello stesso anno avevo anche chiuso il percorso di laurea magistrale, SCELSI il sostegno.
Non appena ebbi l’incarico di docente di sostegno sentii subito l’esigenza di formarmi ulteriormente, poiché sentivo che la mia formazione accademica non era sufficiente per rispondere in maniera congrua ed adeguata alle esigenze degli utenti, ovvero i bambini, unici veri protagonisti della scuola, e tra questi ho privilegiato quelli maggiormente in difficoltà, i diversamente abili.
Da qui una ricerca continua di formazione che fosse specializzata, consapevole che essa non avrebbe avuto fine.
Affiancare persone diversamente abili

L’insegnante di sostegno al di là di avere delle competenze tecniche specifiche, è un’insegnante di classe che attraverso un’azione collegiale, di team, focalizza il proprio lavoro sul bambino diversamente abile in relazione al contesto classe. L’insegnante di sostegno ha, sostanzialmente, un ruolo di facilitatore.
L’insegnante di sostegno deve far sì che i bisogni educativi “speciali” del bambino trovino una risposta adeguata.
Non è il bambino che si deve adeguare, ma è l’intero impianto didattico ed educativo che va plasmato in sua risposta. Così, il coach deve adattare il modo di vivere lo sport all’atleta con esigenze speciali.
Ho sempre dato valore alle risorse più che alle mancanze, poiché facendo leva sulle prime ottenevo una risposta positiva anche sulle seconde. Ricordo che quanto muove l’intero processo di apprendimento è la motivazione: rendere un bambino più sicuro di sé, agisce sulla sua autostima in maniera positiva.
Essere insegnante di sostegno mi ha dato nel tempo una lettura più ampia e nel contempo attenta all’individualità, aspetto portante di cui faccio tesoro anche ora che sono insegnante di classe.
Diciamolo: non esiste un bambino uguale all’altro, in una classe di 25 alunni vi sono 25 stili di apprendimento diversi.
Aver lavorato sul sostegno, di certo non mi ha conferito poteri sovraumani, ma mi ha portato all’attenzione alla specificità di ognuno e di conseguenza l’impegno massimo nell’individuare per ciascuno il percorso più idoneo. Non sempre è fattibile ma certamente possibile, o comunque averlo ben presente conferisce a tutto il processo di insegnamento, una declinazione più accurata e meno generalizzata.
Esistono una pluralità di disabilità: sensoriali, cognitive, fisiche, e altre che presentano una comorbidità di più disturbi; peraltro anche all’interno di medesime disabilità esistono molteplicità di variabili, porre un’etichetta risulta riduttivo, semplicistico e del tutto inadeguato.
La persona va considerata sempre nella sua unicità, punto!
Autismo ed altri problemi
“Se persone normali si trovassero su un altro pianeta con creature aliene, si sentirebbero spaventate, non saprebbero cosa fare per adattarsi e avrebbero sicuramente difficoltà a capire cosa pensano, sentono e vogliono gli alieni e a rispondere correttamente a questo.
L’autismo è così. Se su questo pianeta dovesse improvvisamente cambiare tutto, una persona normale si preoccuperebbe, soprattutto se non capisse il significato di questo cambiamento. Così si sente l’autistico quando le cose cambiano”. (Therese Joliffe).
Caratteristiche di chi soffre di autismo
L’autismo viene definito come un disturbo pervasivo dello sviluppo. Esso è caratterizzato da una compromissione qualitativa dell’interazione sociale, della comunicazione e del comportamento.
Chi è affetto da autismo necessita di strategie visive per comprendere ed organizzare mentalmente gli spazi e la successione nel tempo delle diverse attività quotidiane.
Il soggetto autistico non riesce a comprendere, interiorizzare e dunque rispettare le strutture organizzative della vita quotidiana, per tale motivo egli può cercare protezione nella rigidità comportamentali e/o comportamenti problematici, soprattutto a fronte di cambiamenti improvvisi e dunque non gestibili.
L’autismo non è di per sé un disturbo dell’apprendimento, tuttavia la minore tendenza ad osservare ed imitare gli altri e le difficoltà a comprendere la comunicazione e le azioni degli altri, ostacolano enormemente i processi di apprendimento.
Chi soffre di autismo deve apprendere a livello cognitivo le componenti elementari della socialità; le abilità sociali, fondanti per chiunque, lo sono a maggior ragione per un soggetto autistico, poiché se egli diviene in grado di interagire socialmente, potrà apprendere, attraverso l’osservazione, e l’imitazione degli altri.
Il disturbo autistico definisce una condizione caratterizzata da difficoltà comunicative e sociali e da un repertorio ristretto di attività ed interessi.
Va sottolineato che non esiste un quadro generalizzato, il soggetto autistico presenta problematiche differenti in base al suo livello di funzionamento globale, all’età e alle caratteristiche individuali relative alla sua personalità.
Pertanto non esiste un catalogo per affrontare l’autismo, ogni intervento va calibrato sulle caratteristiche individuali del soggetto.
Autismo e sport: l’allenamento con i pesi sì o no?
Lo sport porta con sé innumerevoli benefici: promuove benessere, salute fisica e mentale, previene le malattie, migliora le relazioni sociali e la qualità della vita. È importante per tutti, anche per le persone con disabilità e di certo anche per coloro che soffrono di autismo.
L’attività sportiva per le persone con disabilità non deve essere vista come una mera possibilità, ma come un diritto, al pari dell’istruzione e della socialità.
Lo sport ha una funzione educativa, per tutti e anche per le persone con disabilità cognitive (es. autismo), esso è uno strumento per:
- lo sviluppo delle potenzialità individuali,
- l’incremento di capacità
- maturazione di abilità.
Questo fa sì che la persona con una disabilità come l’autismo, tramite lo sport:
- si senta valorizzata,
- maturi consapevolezza ed autostima.
Tutto ciò si traduce in una MIGLIORE QUALITÀ DI VITA.

Pertanto alla domanda “Allenamento con i pesi: sì o no per le persone con disabilità” rispondo:
Sì, dipende ed aggiungo: con la massima personalizzazione e con tutte le varianti necessarie, in relazione alla specificità della persona.
Non possiamo assolutamente fare delle generalizzazioni, né in riferimento alla tipologia della disabilità, (l’autismo ad esempio comprende pluralità di variabili), né in riferimento alla tipologia di allenamento.
Ciò che a mio avviso permane alla base, è che il percorso debba essere strutturato attraverso un rapporto 1:1 con la presenza costante del coach, almeno per tutto il periodo iniziale o sino a quando necessario.
Sport: benefici/ problemi nell’allenamento con i pesi in caso di autismo
Benefici dell’attività fisica in chi soffre di autismo
In un soggetto affetto da autismo, lo sport:
- incrementa la capacità di attenzione,
- favorisce l’acquisizione della capacità di finalizzare il proprio comportamento al compito da realizzare e di rispondere correttamente alle richieste,
- diviene un “fatto” prevedibile, dunque tollerabile.
Pensiamo alle sequenze motorie di un esercizio, e via via ad una serie di esercizi combinati tra loro che danno luogo ad una seduta allenante; di fatto sono delle routine, delle procedure. L’allenamento ha un inizio ed una fine, diviene pertanto un “fatto” prevedibile e dunque, per il soggetto autistico, tollerabile e gestibile.
- Attraverso lo sport, chi soffre di autismo ha la possibilità di scaricare tensioni e questo si traduce in una riduzione di eventuali comportamenti problematici.
Alcuni accorgimenti per evitare problematiche
Il rapporto 1:1 coach- atleta, è fondamentale: nel caso del soggetto autistico è bene che le indicazioni siano basate su verbalizzazioni chiare e concise ed accompagnate da esempi motori concreti.
La prevedibilità è un aspetto molto importante per una persona che soffre di autismo. Pertanto il coach dovrà essere attento a questo aspetto, creando ad esempio una “agenda visiva motoria” con gli esercizi posti in successione per la seduta allenante che si andrà a fare, affinché il soggetto possa essere preparato.
Un aspetto a cui prestare attenzione inoltre è I’ipersensibilità sensoriale, che si esprime con la difficoltà di coordinare i diversi stimoli sensoriali ed è generalmente comune ai soggetti autistici.
Chi è affetto da autismo può manifestare difficoltà ad effettuare degli esercizi in ambienti ove sussistono una molteplicità di stimoli. Si pensi ad una palestra affollata e/o rumorosa: è preferibile, soprattutto inizialmente, optare per un ambiente tranquillo, come ad esempio uno studio, per poi successivamente passare alla palestra.
Dal punto di vista corporeo va certamente valutata la capacità propriocettiva, nonché l’equilibrio, poiché spesso sono carenti.
Gli stimoli dovranno essere presentati uno alla volta e via via incrementati progressivamente in base alle risposte del soggetto. Pertanto, un esercizio complesso potrà richiedere di essere destrutturato nei suoi schemi motori di base.
Ad esempio uno squat verrà scomposto in esercizi propedeutici come un goblet squat con manubrio al petto, o un wall squat con elastico sotto le ginocchia, o ancora un back squat su step La ripetitività del gesto è importante e lo è anche la variabilità, purché questa venga applicata con estrema gradualità.
Considerazioni personali
Tra i punti importanti in una programmazione nell’ottica del coaching, soprattutto se parliamo di persone con disabilità, per me vi sono sue aspetti imprescindibili: l’individualizzazione e personalizzazione di un percorso.
L’individualizzazione viene attuata nel momento in cui la programmazione è cucita addosso al soggetto. Non è un vestito fatto in serie, bensì manufatto artigianale creato ad hoc, nel rispetto delle sue peculiari caratteristiche.
La personalizzazione è volta a sviluppare i “singoli talenti”. Perdonatemi il lessico pedagogico, ma a mio avviso ben si sposa anche con quello atletico; sì, perché ognuno di noi ha un bagaglio di potenzialità, in termini di capacità fisiche peculiari, oltre che strutturali ed anche emotive e mentali. Mente ed emozioni, lo sappiamo, giocano un ruolo importante anche in una preparazione sportiva.
Pertanto, la programmazione di un percorso di allenamento con i pesi è unica, poiché unico è il suo destinatario.
Allenamento ad hoc per abilità diverse
Quanto detto sopra vale PER TUTTI, anche e soprattutto per i soggetti DIVERSAMENTE ABILI.
Apprezzo questa terminologia che sostituisce quella di “disabilità”, poiché mentre quest’ultima si focalizza sulla mancanza, la diversa abilità, porta il focus sui punti di forza.
Un soggetto autistico presenta dei deficit: del contatto affettivo, della comunicazione e socializzazione. Ma nel contempo presenta delle risorse, quali ad esempio un’ottima capacità di discriminazione e analisi visiva; dal punto di vista relazionale proprio grazie alla loro difficoltà nel comprendere le norme sociali, essi non mentono né sono ossessionati da ciò che pensano le persone di loro. Beh direi non male al giorno d’oggi che dici?
Penso che la diversità debba essere vista come un modo diverso di essere al mondo con punti di forza, su cui puntare e stimolare, e punti di debolezza, da considerare in vista di una progettazione di qualsivoglia percorso, quindi anche motorio.
L’obiettivo è certamente quello di puntare alla massima qualità di vita possibile e lo sport, sapientemente calibrato e condotto può avere dei benefici a 360° sulla persona.
Io penso che dobbiamo uscire dagli schemi, dalle etichette e dalle generalizzazioni, dobbiamo guardare la persona nella sua unicità fatta di fragilità e risorse. Io, da insegnante di sostegno prima, e di classe ora, con i miei allievi punto sulle risorse… sempre!
E da coach…anche!
Iris Padoan
– Top coach