Che cosa fa il coach?
Il coaching (o affiancamento e guida) è una metodologia di sviluppo personale nella quale una persona (detta coach) supporta un cliente o allievo (detto coachee) nel raggiungimento di uno specifico obiettivo personale, professionale o sportivo. Un coach fornisce il suo supporto verso l’acquisizione di un più alto grado di consapevolezza, responsabilità, scelta, fiducia e autonomia.
Potremmo rinvenire le radici del coaching nella maieutica di Socrate, “l’arte di far partorire le menti”. Applicando questa metodologia sui propri allievi e non solo, il filosofo tramite domande e risposte, sollecitava i propri allievi a “tirar fuori da se la verità”.
Il coaching e la maieutica hanno in comune lo stesso presupposto: ogni individuo ha la possibilità di liberarsi da pregiudizi, false credenze, convinzioni limitanti e schemi disfunzionali e ha la capacità di riconoscere e “vedere” la ricchezza che ha in sé.
Negli anni ‘70 Timothy Gallway, maestro di tennis, affermò che “L’avversario che si nasconde nella nostra mente è più forte di quello dall’altra parte della rete”, egli creò le premesse di un rinnovamento radicale nel mondo dello sport.
Nell’accezione attuale, il coach è il professionista che accompagna una persona al raggiungimento di uno o più dei suoi obiettivi.
Il coach è una guida. Ha strumenti in più, esperienza e grande capacità di ascolto. Tra coach ed allievo/atleta c’è alleanza ma non c’è delega. Il coach aiuta ma non decide. Fa domande, quelle che portano a vedere le cose da una diversa angolatura e dunque a formulare pensieri nuovi, e da pensieri nuovi nascono nuove azioni.
Bodybuilding: differenza tra coach e preparatore
Nel bodybuilding il preparatore (chi si limita ad allenare) parte da una analisi della situazione fisica iniziale del cliente e, dopo aver delineato l’obiettivo, redige un piano di lavoro. Poi allena il cliente, lo motiva e lo aiuta a superare le difficoltà: alla fine l’obiettivo ben determinato all’inizio o viene raggiunto o si fallisce.
Nel vero e proprio coaching, invece, c’è una differenza data da un fondamentale presupposto. Il coach in primis pone in essere una fase di ascolto attiva e partecipativa; questa è un’imprescindibile competenza del coach.
Il coach fa domande che conducono il cliente ad avere una nuova visione dei fatti; sulla base di queste domande accompagna il cliente a far chiarezza sui personali obiettivi dandosi risposte.
Il coach focalizza l’attenzione proprio su obiettivi e limiti del cliente aiutandolo a rivedere i propri schemi mentali, qualora essi siano disfunzionali e formuli nuovi pensieri propositivi per mettere in atto nuovi comportamenti congrui agli obiettivi designati.
Il coaching in sostanza guida il soggetto cui è destinato a trovare la motivazione in sé stesso, a superare i propri limiti a “vedere le cose con occhi nuovi” quindi a cambiare punto di vista.
La sostanziale differenza tra il preparatore ed il coach è che quest’ultimo opera affinché il cambiamento del cliente sia frutto di una evoluzione interna e non solo un’esecuzione oggettiva data da uno stimolo eterno.
Cosa NON fa un coach:
- definire l’obiettivo, lo fa il cliente dopo che il coach lo ha aiutato a fare chiarezza;
- condurre il cliente bensì gli è guida, il cliente rimane il protagonista assoluto del proprio percorso;
- motivare il cliente, ma lo aiuta a trovare le motivazioni in sé;
- spingere il cliente, ma lo aiuta nell’andare oltre ai propri limiti.
Nel coaching non vi è mai fallimento se non si raggiunge l’obiettivo prefissato ma l’esperienza è sempre, ed in ogni caso, apprendimento.
Nel coaching il cliente è assoluto protagonista attivo della sua preparazione.
Dal “no pain no gain” all’approccio sostenibile grazie al coaching
Nella visione “no pain no gain” (nessun dolore nessun guadagno) vi è una estremizzazione disfunzionale e, a volte, al limite del patologico di quello che è un percorso di preparazione sportiva, agonistica e non.
La persona che applica a tutti i costi il no pain no gain, è ossessionata dal raggiungimento di uno specifico obiettivo, il cui raggiungimento si crede debba essere subordinato al “dolore”, senza il quale si ha la convinzione che il risultato non possa essere raggiunto.
Al tempo stesso ogni altra componente della vita viene tralasciata: affetti, hobby e svago perdono valore. Questa situazione di disequilibrio portata all’estremo, talvolta, provoca isolamento, malessere e disagio. Non solo; qualora l’obiettivo infine venga mancato la persona si sentirà fallita, sbagliata e rinforzerà l’idea malsana di dover “soffrire” maggiormente per ottenere dei risultati, mettendo in atto un circolo disfunzionale autodistruttivo.
Di contro, per approccio sostenibile si intende quell’approccio che viene perseguito in equilibrio con tutte le componenti della propria vita: relazioni, professione e svago.
Nell’approccio sostenibile la preparazione non occupa e non può occupare il primo posto, togliendo spazio e cura a tutto il resto, bensì essa si colloca in equilibrio con tutte le altre aree della vita dell’atleta.
Quando un atleta è nella fase di preparazione alla gara ecco che essa si collocherà al centro, assumerà certo un focus prioritario, ma il fatto che questo si verifichi per un periodo specifico e limitato nel tempo, non creerà alcun dissesto alla vita della persona: ultimata la gara, essa avrà modo di rimettere in perfetto equilibrio le diverse sfere della propria vita.
Sostenibile non significa però approssimato o superficiale, sia chiaro. Raggiungere un obiettivo, che sia di miglioramento della condizione o vette agonistiche nei termini di salire sul palco, chiede aderenza, perseveranza, coerenza, disciplina e certamente l’uscita dalle personali zone di comfort.
La sostenibilità è data da una nuova visione del percorso sia in termini di alimentazione, sana e variegata, sia in termini di allenamento, curato in termini di tecnica, capacità di attivazione, calibrato sulle singole esigenze, sia in termini mentali, distanti dal “non vi è guadagno se non soffro” ma finalizzati alla cura di sé in termini di un benessere a 360°.
Come programmare un percorso di coaching bodybuilding
Individualizzazione e Personalizzazione del percorso
La prima, l’individualizzazione, viene attuata nel momento in cui la programmazione è cucita addosso al soggetto, non è un vestito fatto in serie, bensì manufatto sartoriale creato ad hoc, nel rispetto delle peculiari caratteristiche del soggetto e degli obiettivi da questi delineati.
La seconda, la personalizzazione, è volta a sviluppare i “singoli talenti”, perdonatemi il lessico pedagogico, ma a mio avviso ben si sposa anche con quello atletico in quanto ognuno di noi ha un bagaglio di potenzialità fisiche, emotive e mentali uniche e bisogna considerarle tutte anche e soprattutto nella preparazione sportiva.
Io non maneggio parametri, numeri e calcoli io interagisco con delle persone, pertanto, parametri, numeri e calcoli sono strumenti marginali di sfondo, dei mezzi, ma l’unico “oggetto”, il fine è la cura e lo sviluppo della persona.
Ecco perché non mi stanco di sottolineare la “presa in carico” globale della persona, che passa da una sua conoscenza complessiva.
Che stile di vita ha? Fa un lavoro stressante? Quanto tempo ha a disposizione per allenarsi? Qual è la sua situazione familiare? Vive una situazione serena? O è provato a livello sistemico? (…)
Relazione con il cliente
Al di là che tale relazione sia asimmetrica (la stessa che sussiste tra docente e discente), essa rappresenta però il fondamento sul quale poggia tutto il percorso.
Parliamo di un percorso che ha come obiettivo quello di raggiungere un miglioramento della condizione fisica, ma questo implica imprescindibilmente una crescita ad ampio raggio: fisica ma anche mentale, poiché il timone di ogni cambiamento fisico è la mente.
Il coach, come abbiamo visto, è colui che conduce il cliente ad una chiara lettura dei personali obiettivi, si pone in attivo ascolto, insegna al cliente ad auto motivarsi e a riconoscere ed attivare le risorse insite in lui; tutto ciò è possibile attraverso e nella relazione.
In quanto coach io sono (devo essere) un facilitatore: affinché qualcosa di complesso sia reso fruibile e realizzabile grazie alla mia guida.
Autorevolezza
Lontana da un modello gerarchico autoritario si distingue per un atteggiamento proprio di un buon coach: coinvolgente, partecipativo, che influenza positivamente chi è posto nella relazione con lui e da cui viene riconosciuto in quanto tale, determinando un coinvolgimento “attivo” -aggettivo, questo che è alla base di tutto il processo di coaching-.
Equilibrio
Come scritto sopra, un approccio sostenibile è caratterizzato dalla capacità di vivere una preparazione agonistica, e non, in equilibrio con gli altri tasselli della propria vita, che non vengono trascurati e/o ignorati ma “convivono”, solo in alcuni momenti limitati nel tempo, essa verrà collocata al “centro” per poi rientrare in un secondo tempo.
Dunque equilibrio nell’approccio: mentale, alimentare e fisico.
Consapevolezza:
In un percorso di preparazione sportiva uno degli obiettivi principali è quello di maturare sempre maggiore consapevolezza del proprio corpo, sia in termini di capacità di ascolto, che di attivazione muscolare; prerequisito fondante ai fini dell’allenamento, senza il quale esso si ridurrebbe ad un “muovere i pesi per aria” con scarsi o nulli risultati.
Consapevolezza di quanto si sta facendo, del come e perché lo si fa.
Questo a mio avviso è uno degli aspetti più arricchenti, poiché implica un’evoluzione globale della persona.
“Devi davvero smettere di pensare a ciò che puoi permetterti di fare, perché puoi davvero permetterti di fare qualsiasi cosa tu decida di fare”
Wayne W. Dyer
Il coach aiuta a controllare la propria mente
Ognuno di noi ha a disposizione una risorsa preziosa che ha il potere di cambiare atteggiamenti, abitudini e personalità: la mente.
La testa comanda il corpo esegue
La mente esercita un potere tale da condizionare l’intero organismo, sia in termini positivi che negativi.
Solo il 10% del funzionamento della nostra mente è conscio ed è caratterizzato da funzioni di calcolo, razionalità, organizzazione. Tutte procedure, queste, che fanno capo al sistema nervoso volontario. Il rimanente 90% è subconscio, ad esso fanno capo, immaginazione, emozioni, memoria, sistema nervoso autonomo.
Ogni esperienza pregressa, attraverso una reinterpretazione soggettiva da parte dell’individuo, basata su immaginazione, emozioni e reazioni, crea una memoria. La reiterazione di talune esperienze, anche negative, rafforzano l’interpretazione che il soggetto ha prodotto di esse e danno luogo a credenze, convinzioni.
Le convinzioni sono qualcosa di cui siamo assolutamente certi, qualcosa di indiscutibile per il nostro giudizio. Abbiamo convinzioni su di noi, sugli altri, sull’ambiente.
Tutte queste convinzioni agiscono da filtro alle esperienze che facciamo e a volte possono divenire una gabbia che ci impedisce di raggiungere dei risultati.
Ma le credenze possono cambiare!
È possibile mettere in dubbio una nostra convinzione chiedendoci “ma è proprio vero?” e possiamo decidere quale vogliamo sia la nostra nuova convinzione.
Le convinzioni che abbiamo le possiamo scegliere, possiamo destrutturare quelle negative e crearne di nuove, positive e funzionali al nostro benessere.
I significati che attribuiamo alle nostre esperienze determinano come ci sentiamo. Essi poggiano sulle nostre credenze ed il linguaggio che utilizziamo all’interno della nostra mente, la nostra comunicazione interna, le parole che ci diciamo e quelle che usiamo con gli altri, sono dei potenti catalizzatori delle nostre emozioni.
Attenzione però che noi possiamo cambiare una credenza, ma se continuiamo ad utilizzare vecchi modelli di linguaggio, espressioni verbali negative (“ono depresso”, “che giornata pesante”, non riuscirò mai”) produrremo uno stato emotivo non propedeutico al cambiamento e permarremo nei vecchi schemi emotivi e comportamentali.
Presta attenzione al linguaggio della tua mente
Se è vero che quello che diciamo agli altri è molto importante, quello che diciamo a noi stessi lo è ancora di più.
Se quando sbagliamo ci riempiamo di insulti “Sono un deficiente” e quando facciamo bene ci diciamo “era facile”, che tipo di condizionamento ci stiamo dando?
Quando continuo a descrivere una mia debolezza, continuo a rafforzarla; se invece mi racconto di un aspetto sul quale posso migliorare, raggiungo la consapevolezza che posso diventare più forte.
Alcuni esempi? Prova a fare queste sostituzioni:
“Perché capita sempre a me?” sostituisco “Cosa c’è di buono in questo?”
“Perché sono così sfortunato?” sostituisco “Su quali risorse posso contare?”
“Non c’è la faccio” sostituisco “Tutto ciò di cui ho bisogno è dentro di me”.
Usiamo parole positive, connotate da una forte carica emotiva, utilizziamole con costanza affiancandoci una immagine che in noi produca una buona emozione (ancoraggio emozionale). Facciamo pensieri positivi, non raccontandocela, ma proponendo una lettura delle cose propositiva, costruttiva. Visualizziamo il nostro obiettivo e passiamo all’azione!

Che coaching offro alle mie atlete
Così come nell’allenamento, il mio lavoro è volto a far apprendere all’atleta tecniche corrette e capacità di attivazione muscolare; come nell’alimentazione esso si traduce nel promuovere la maturazione di una sana alimentazione.
Coaching e bodybuilding: le tecniche mentali
Al tempo stesso, sul versante mentale-emozionale, il mio intervento di coaching è volto a fornire all’atleta quegli strumenti per imparare a gestire le emozioni e potenziare le proprie risorse mentali.
Quando un atleta si prepara ad una gara, genera dentro sé una miriade di pensieri, prova plurime emozioni, crea immagini mentali che possono influenzare in modo rilevante la performance della gara oltre a caratterizzare la personale esperienza dell’atleta.
Pensieri, immagini, emozioni negative e disfunzionali genereranno senso di inadeguatezza, ansia e paura e difficilmente, anche a fronte di una buona condizione fisica, l’atleta riuscirà a portare sul palco la migliore versione di se stesso con sicurezza, padronanza ed energia positiva.
Un lavoro basato su tecniche mentali quali: visualizzazioni positive, controllo del respiro, ancoraggio immaginativo-emozionale, forniscono all’atleta gli strumenti affinché egli non subisca passivamente stati emotivi disfunzionali ma diventi GENERATORE ATTIVO di emozioni positive e funzionali al suo obiettivo.
Nel periodo che precede la competizione consiglio alle mie atlete un “allenamento” di visualizzazione da fare ogni sera prima di dormire, stando in una posizione rilassata, ad occhi chiusi ed in un luogo tranquillo.
Chiedo loro di ripercorrere in maniera dettagliata e minuziosa ogni passaggio della routine di pose. Devono immaginarsi mentre salgono sul palco e vedersi in ogni dettaglio, in ogni singola movenza. È importante che si immergano completamente nella scena, aggiungendo quanti più dettagli possibili, gustando appieno tutta la scena e sentendo fortemente le belle emozioni che ad essa si accompagnano.
Questo esercizio, ripetuto con costanza, permette, da un lato, di divenire più sicure nel posing (ricordiamo che il cervello non distingue tra immaginato ed esperito) e, dall’altro, di creare degli ancoraggi positivi, “gesto-emozione”, di ogni singolo passaggio di salita sul palco: saluto, pose, camminata, così che quando l’atleta il giorno della gara salirà sul palco proverà esattamente quanto avrà immaginato.
Un mantra per la convinzione pre-gara
Un’altra tecnica che ho sperimentato da atleta e poi trasmesso in veste di coach, è quella di creare un mantra personale associandolo ad un movimento, ad esempio il battito ritmico del pugno sulla mano.
Il mantra personale è:
- costituito da poche frasi o parole di semplice struttura,
- è affermativo (
- usato al tempo presente
- è privo di negazioni
- ha un linguaggio familiare non forzato
- è strettamente personale
- costituito da parole che “parlano al nostro cuore” e che sentiamo nostre.
Ad esempio un pensiero limitante del tipo:
“Io ho paura, Io mi sento inadeguata, io non c’è la farò”
Può diventare un personale mantra funzionale del tipo:
“Io sono forte, Io sono luminosa, Io sono gioiosa, Io porterò tutta la mia luce ed il mio sorriso sul palco”
Creare un nostro mantra da ripetere frequentemente in tutto il periodo antecedente la gara ed anche il giorno stesso (magari prima della salita sul palco) aiuta a sbloccare i pensieri depotenzianti ed attiva la propria energia positiva.
Un altro aspetto a cui prestare attenzione è il respiro, esso da sintomo passivo può divenire strumento principale per sciogliere uno stato d’ansia.
La respirazione diaframmatica, profonda, aiuta a recuperare uno stato di “calma” e di “centratura” affinché il nostro stato emotivo sia funzionale ai nostri obiettivi; fermezza e lucidità possono essere indotte dal giusto respiro e possono così controllare l’ansia che ci assale nei momenti critici.
L’insieme integrato di queste tecniche allenano la componente emotivo-mentale e portano l’atleta ad essere più sereno e lucido prima di una competizione.
“Ciò che pronunci costantemente con forte intensità emotiva, tu proverai, creerai e diverrai.
Le parole che pronunci con convinzione emotiva diventano la vita che vivi:il tuo paradiso oppure il tuo inferno.”
Anthony Robbins
Iris Padoan
– Top Coach SBB
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