Nel mondo del bodybuilding, la costruzione di muscoli forti, pieni e definiti è da sempre l’obiettivo primario, tuttavia, c’è un aspetto spesso trascurato che gioca un ruolo fondamentale nel raggiungimento di risultati di successo: la mobilità articolare.
Nel natural bodybuilding, in particolare, l’attenzione alla mobilità articolare è essenziale non solo per migliorare le prestazioni atletiche, ma anche per preservare la salute e prevenire infortuni.
Cosa si intende per mobilità articolare?
La mobilità articolare si riferisce alla capacità di muovere le articolazioni attraverso un’ampia gamma di movimenti senza restrizioni o dolore.
Nel contesto del natural bodybuilding, una buona mobilità articolare è cruciale per eseguire correttamente gli esercizi, raggiungere una contrazione muscolare ottimale e favorire una distribuzione uniforme dello stress sul corpo.
Consideriamo ad esempio che un’articolazione che non può muoversi liberamente potrebbe compromettere l’efficacia di un esercizio, riducendo la gamma di movimento e impedendo la piena attivazione dei muscoli coinvolti.
Cenni di anatomia del rachide e principali articolazioni del lower body
Un piccolo cenno alla nostra colonna vertebrale è doveroso quando si tratta di mobilità. Essa stessa compie diversi movimenti lungo tutti e tre i piani dello spazio, in misura diversa a seconda dei segmenti vertebrali interessati. Le vertebre, infatti, con la loro struttura anatomica contribuiscono alla complessiva funzione di sostegno del rachide e ne influenzano i gradi di mobilità.

In visione laterale il rachide presenta un’alternanza di quattro curvature, essenziali per garantire la sua capacità di carico; sono le curve fisiologiche, ed è fondamentale vengano preservate e rispettate.
Curve fisiologiche del rachide
Lordosi cervicale: è composta da 7 vertebre C1-C7 corrispondente alla regione del collo; buoni movimenti di flesso-estensione, rotazione e flessione laterale.
Cifosi toracica/dorsale: composta da 12 vertebre T1-T12 corrispondente alla zona della gabbia toracica. Limitata flesso-estensione e rotazione, ma buona flessione laterale.
Lordosi Lombare: composta da 5 vertebre L1-L5 aventi un corpo più grosso, poiché maggiore è il carico da sorreggere in questa zona. La rotazione è molto limitata, massimo 5 gradi per lato, mentre ampio è il movimento di flesso-estensione.
Cifosi Sacro-Coccigea: composta da cinque vertebre fuse S1-S5 (il sacro) e altre quattro fuse tra loro (il coccige). I movimenti sono di flesso-estensione, ma molto piccoli e limitati.
Principali articolazioni della parte inferiore del corpo.

Articolazione coxofemorale, comunemente nota come anca: si tratta di un’articolazione a sfera nella quale la testa del femore si inserisce nell’osso iliaco (acetabolo). Oltre all’ampia gamma di movimenti (flessione, estensione, adduzione, abduzione e rotazione) è bene notare l’importante funzione di sostegno di tutto il tronco e il suo ruolo nel mantenimento dell’equilibrio, motivo per cui risulta meno mobile rispetto all’articolazione gleno-omerale nonostante le similitudini anatomiche.
Articolazione del ginocchio: si può dividere in articolazione femoro-rotulea, nella parte anteriore sostenuta da muscoli e tendini, e articolazione femoro-tibiale. Esegue movimenti di flessione ed estensione della gamba, deve essere in grado di garantire stabilità durante la deambulazione.
Articolazione della caviglia: è composta dall’unione di tibia e perone con le ossa del tarso nel piede. Essa consente movimenti di plantiflessione e dorsiflessione, ma ha limitata libertà di mobilità laterale che consente di camminare su superfici sconnesse prevenendone lussazioni.
Articolazioni del piede e delle dita dei piedi: troppo spesso sottovalutato, il piede rappresenta il punto di appoggio, ancoraggio e partenza dei principali movimenti di spinta. Stabilità di tarso, metatarso e propriocezione dell’appoggio plantare devono essere accompagnati da una buona mobilità e controllo dei movimenti delle dita sia in flessione che estensione.
Salute delle articolazioni
Il movimento dei capi articolari, determinato dalla forma dell’articolazione stessa, è garantito non solo dai rivestimenti di cartilagine che fungono da ammortizzatori, ma anche dal liquido sinoviale che li mantengono lubrificati e facilitano lo scorrimento tra le superfici.
La stessa però va incontro a disidratazione e conseguente perdita di funzione nel caso in cui il movimento stesso non venisse correttamente stimolato e ripetuto nel tempo. Per questo motivo, tutto ciò che verrà detto di seguito ha anche funzione di preservare e mantenere in salute nel tempo le articolazioni di tutto il corpo a fronte di una vita spesso sempre più sedentaria.
Pratica di Mobility per la mobilità articolare
Il senso di aver ripreso concetti anatomici del rachide e alcune articolazioni, lo ritrovi nel fatto che con la Mobility si lavora sulla capacità di un’articolazione di muoversi nella maniera più fluida possibile e senza grossi impedimenti attraverso il suo intero arco di movimento.
Ti sarà già venuto in mente l’acronimo ROM (Range Of Motion) che avrai appunto utilizzato per massimizzare il reclutamento delle fibre muscolari in un determinato esercizio.
Nella pratica di Mobility, si agisce per forza di cose in modalità passiva o attiva sui muscoli, tendini e legamenti che circondano e compongono l’articolazione stessa.
La mobility non comprende dunque solo lavori statici di Release con ausilio di palline e foam roller o, come erroneamente si pensa, di allungamento muscolare nella zona d’interesse. Il cuore dell’allenamento della mobilità sta nell’esecuzione di specifici esercizi in maniera più o meno dinamica, che possano andare a toccare la maggior parte dei gradi di movimento che l’articolazione per natura potrebbe compiere.
Quanto sopra descritto è una combinazione di miglioramento della flessibilità muscolare e del controllo motorio della persona, poiché l’uno non può prescindere dall’altro.
In sala pesi, infatti, il tuo obiettivo è massimizzare la performance, l’esecuzione del gesto motorio, gestire al meglio le tensioni muscolari e gli eventuali dolori che diventano ostacolo alla tua routine per raggiungere i risultati ipertrofici, estetici o di performance che ricerchi.
Forza e flessibilità hanno il dovere di andare di pari passo: puoi controllare l’esecuzione di un movimento se sei forte, puoi sfruttare al meglio la tua forza solo se quel movimento non è limitato.
Mobility e stretching: qual è la differenza?
La mobilità articolare è una skill che va allenata con costanza, può migliorare nel tempo e, come accennato sopra, ha a che fare con la capacità di un’articolazione di muoversi attivamente nel suo range muscolare.
È influenzata da diversi fattori, tra cui età, sesso, struttura anatomica dell’articolazione stessa, flessibilità dei tessuti molli coinvolti, eccesso di massa magra o grassa che funge da impedimento, stato di salute fisica della persona. Ricordo, che una buona espressione di mobilità (principalmente attiva) necessita di forza e stabilità.
Indubbiamente è dunque tanto correlata quanto differente dal concetto di stretching, o meglio, flessibilità.
Con lo stretching, agisci sulla flessibilità ovvero la capacità dei tessuti molli (muscoli, legamenti, tendini) di allungarsi passivamente tra un capo articolare e l’altro.
Viene eseguito in maniera statica, dinamica o balistica a seconda delle discipline, ma a differenza di quanto a lungo è stato professato, non è più considerato la panacea di tutti i mali in caso di dolori e patologie fisiche.
Ricordati inoltre che non sei immune da altri fattori: temperatura esterna e corporea, momento della giornata, idratazione, stanchezza fisica e stato d’animo.
L’allungamento delle fibre muscolari e la riduzione delle tensioni dei muscoli coinvolti o dei relativi antagonisti gioca sicuramente un ruolo fondamentale nel miglioramento dell’ampiezza di movimento delle articolazioni prima citate: puoi essere flessibile pur avendo scarsa mobilità e compensare con l’impiego di strutture diverse in diversi movimenti.
È bene che si scelga con cautela quando e come inserire lo stretching all’interno di una programmazione di allenamento, al fine di non inficiare la performance o massimizzarla in seguito.
Quando è importante mobilizzare?
La pratica di tutti i giorni insegna che quanto più una struttura viene tenuta ferma, quanto più diventa d’ostacolo al movimento.
Nella nostra epoca del sedentarismo lo vedi molto spesso, quando una struttura diventa troppo rigida e perde di mobilità, non ne risente solo la stessa, ma anzi sono strutture più lontane a deformarsi, attuare compensi e magari le prime a manifestare dolore.
La concatenazione dei nostri distretti muscolari in catene funzionali, fa sì che, dove un muscolo si irrigidisca o diventi debole perché non – o mal – utilizzato, un altro più lontano debba diventare più forte e fare un doppio lavoro per sopperire a una mancanza (il che rovina per forza il pattern di esecuzione di un determinato movimento e lo sviluppo muscolare stesso).
A parer mio la conoscenza di queste catene muscolari si rivela molto utile nell’ottica di una programmazione in un percorso di natural bodybuilding proprio per la natura estetica stessa di questo sport.
Approccio Joint-by-Joint
Ti lascio un accenno all’approccio Joint by Joint (coniato da Boyle e Cook) secondo il quale, nel corpo, vi è un’alternanza di articolazioni o zone che richiedono maggiore stabilità o maggiore mobilità.
Nel caso in cui ciò non venisse rispettato, si avrebbero scompensi e a lungo andare l’esecuzione dei movimenti ne risentirebbe con probabile insorgenza di dolore.
È molto importante che come allenatori, non ci si perda nella ricerca della risoluzione perfetta e strabiliante di un problema (se tale), ma che si ragioni sulla funzionalità delle strutture nel suo complesso.
Mi capita più spesso di quanto tu creda che le stesse sequenze, seppur eseguite nelle stesse modalità, siano più o meno o quasi per nulla efficaci in soggetti diversi. È imprescindibile la personalizzazione in questo ambito se non vuoi perdere tempo e far di tutta l’erba un fascio: non è detto infatti che “a te” servano “tutti” quegli esercizi.
Fondamentale è trovare il fulcro su cui lavorare per prima cosa, così da sfruttare la concatenazione di tutti i nostri distretti muscolari e beneficiarne fin da subito.
Ti lascio un esempio che sta alla base di ogni buon profondo movimento di accosciata per spiegarmi meglio. Quanto potrebbe essere utile insistere e investire tempo “solo” sul miglioramento dei movimenti di anche e caviglie se hai difficoltà a tenere il bilanciere sulle spalle? Non solo in presenza di eclatanti atteggiamenti cifotici, un piccolo input di apertura toracica o mobilità di spalle può aiutarti in questo e rendere più fluido il tuo squat. Ti ritrovi?
Protocolli per la mobilità articolare del lower body
Ti lascio due protocolli di esempio che puoi sperimentare fin da subito nei tuoi warm up preallenamento.
Esercizi per la mobilità dell’ ANCA
Ricordo che quest’articolazione ha necessità di essere resa/mantenuta mobile.
- Release Grande e Medio gluteo con pallina, sdraiato prono.
Esegui prima un lato, poi l’altro. Distendi la gamba interessata e tieni piegata l’altra poggiata al pavimento. Con la pallina potrai individuare due o tre punti di maggior dolore/fastidio su cui soffermarti, respirando senza creare ulteriori tensioni. L’importante è che non si tramuti in formicolio, scossa o che il dolore percepito aumenti d’intensità. - Intra/Extrarotazione seduto con gambe in appoggio piegate a 90°.
Esegui l’esercizio in maniera abbastanza dinamica espirando a ogni cambio direzione. Entrambe le gambe dovranno cercare di poggiare sia a destra sia sinistra e potrai soffermarti sul lato più “bloccato”. Una sola serie ti può bastare per percepirne già una sostanziale differenza. - Allungamento Psoas, in ginocchio con gamba anteriore a 90°.
L’errore più comune commesso è quello di spingere il bacino in avanti senza soffermarsi sull’attivazione di addome e dell’emigluteo corrispondente alla gamba posteriore. Esegui il movimento più volte senza soffermartici più di tanto, rendilo preciso ma allo stesso tempo mantienilo dinamico.


Esercizi per la mobilità della CAVIGLIA
Ricordo che la fissità di quest’articolazione è spesso e volentieri artefice di numerosi compensi.
- Release della fascia plantare con pallina, in piedi.
Esegui prima un lato, poi l’altro. Inizia a rullare sulla pianta del piede dalle dita al tallone e soffermati in un secondo tempo su un paio di punti di maggior dolore/fastidio. È comune che la pressione si ripercuota lungo la gamba, nel ginocchio, fino alla zona lombare. - Rotazioni di caviglia, seduto gambe distese avanti a te.
Sono solita far poggiare la gamba d’interesse su un sostegno affinchè il ginocchio si fletta per evitare che la rotazione ricercata venga eseguita con le anche anziché le caviglie. Immagina di disegnare un orologio con la punta del piede e ricerca la massima ampiezza del movimento in un senso e nell’altro … aspettati dei bei crampi! - Calf su rialzo con possibile sovraccarico (monopodalico in caso di forte squilibrio tra le due caviglie).
In questa fase consiglio serie ad alte ripetizioni con grande enfasi alla fase eccentrica. Focus all’aderenza delle dita dei piedi al rialzo e al mantenimento di un corretto allineamento di bacino e ginocchia.
Conclusioni sulla mobilità articolare nel natural bodybuilding
Una volta che prendi dimestichezza con gli esercizi e impari a conoscere le tue criticità, ti assicuro che anche 5 minuti saranno sufficienti per dare uno stimolo idoneo e funzionale al miglioramento della tua mobilità. Sei in sala pesi per allenarti, ricordalo sempre.
Non posso prometterti risultati immediati e duraturi se stai partendo da zero, ma di certo noterai fin da subito una grande differenza in allenamento. La costanza poi (ricorda, la mobilità è una skill da allenare!) ti porterà miglioramenti e ti posso assicurare che il cambiamento si farà poi anche visibile.
La prossima volta prima di fare una posa di back, prova a mobilizzare la zona toracica… e vedrai!
Anita Del Fabbro
– Top Coach SBB
Specializzata in Mobility, Release Miofasciale
Insegnante di Pilates Matwork e Reformer
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