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Supercompensazione e performance: teoria o pratica?

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Cominciamo l’articolo con un’affermazione discutibile, susseguita da una reazione in pieno stile americano:

– “La supercompensazione… È un bluff!”

– “WTF, man?!”

Considerazioni sulla teoria della supercompensazione

Fin dall’inizio della mia formazione, la teoria della supercompensazione mi è stata descritta in più fasi:

  1. Una fase post allenamento in cui si ha un calo prestativo causato dalla fatica;
  2. Una fase di recupero e compensazione (intesa come ripristino delle riserve energetiche, di riposo in termini di sonno e di recupero in ottica di frequenza degli allenamenti);
  3. Una fase di supercompensazione;
  4. Una fase di ritorno verso la condizione iniziale.

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Semplificando: l’allenamento crea uno stress e la nostra forma peggiora, ma poi recuperando e supercompensando saliamo ad un livello prestativo lievemente superiore.

Il motivo sarebbe: domani potrebbero servirmi delle prestazioni superiori a quelle odierne e possibilmente il mio corpo tenderà a concedermele, attraverso la supercompensazione.

Questa è una teoria apparentemente logica, ma non considera chi è l’atleta e come si allena.

In altre parole è tutto molto bello, ma concretamente non ci dice come ci dobbiamo allenare.

Se ci sottoponiamo ad uno stress importante troppo frequentemente, non abbiamo il tempo per compensare e supercompensare, ma se ci alleniamo troppo poco non miglioriamo ugualmente.

Bisognerebbe capire quando arriva il picco di supercompensazione per sapere quando allenarsi.

Alla base della teoria della supercompensazione c’è la correlazione tra lo stato delle riserve energetiche (come il glicogeno muscolare) e lo stato di forma dell’atleta.

Con l’allenamento assistiamo ad una deplezione di queste riserve, che poi verranno ripristinate con la compensazione.

Per avere un miglioramento, come già detto, si dovrebbe fissare il successivo allenamento in corrispondenza del picco di supercompensazione.

Affrettando i tempi (o attendendo troppo), lo stato di forma dovrebbe peggiorare.

Ma il picco come lo troviamo? Non si sa! E soprattutto, quale picco?

Sappiamo della deplezione e della compensazione del glicogeno muscolare, ma siccome le riserve energetiche che possediamo non hanno i medesimi tempi di compensazione, non possiamo davvero individuare un picco.

Volendo ragionare per gruppi muscolari e alzate, cosa succede se ci alleniamo in multifrequenza?

Quando avviene il picco di supercompensazione, se un giorno abbiamo le trazioni ed un altro il seal row?

Potremmo avere fatica, compensazione e supercompensazione in momenti diversi?

Perché allenandosi per più giorni consecutivi in multifrequenza si può migliorare?

Ci sono tante varibili, ma bisogna regolare intensità e volume (frequenza inclusa). 10 serie di trazioni e 10 serie di seal row in un unico allenamento sono sostenibili?

Forse, ma siccome generalmente il buon senso dice di usare i due esercizi in giorni differenti, probabilmente le curve del nostro grafico saranno molteplici.

Parlando di tempistiche, considerando che a livelli fisiologici la sintesi proteica registra un calo 48 ore dopo l’allenamento, teoricamente dovremmo allenare un gruppo muscolare ogni due-tre giorni al massimo.

Inoltre la fatica post esercizio potrà essere molto rilevante ma durerà poco.

Supercompensazione e “peak week”

Un’ultima considerazione si può fare riguardo alle gare.

Prendiamo come riferimento quelle di powerlifting, per esempio.

Non appartengo a quel mondo, ma so che vengono utilizzate fasi con più volume, altre di intensificazione e che infine viene fatto uno scarico prima di una gara.

Lo scarico viene fatto perché si ricerca la forma di picco, un po’ come nel bodybuilding e non solo.

Ne siamo un po’ tutti alla ricerca, anche se lo vediamo sotto diverse forme. In questo senso il principio della supercompensazione ci può dare una mano: magari non in ottica giornaliera nell’organizzare gli allenamenti all’interno di una settimana, ma più a lungo termine all’interno di una preparazione (anche fermandosi all’aspetto teorico).

Dobbiamo supercompensare appositamente per la gara, facendo in modo che il picco non arrivi prima o dopo di essa… E se proprio dobbiamo arrivare ad essere cotti a puntino, allora è meglio arrivarci dopo piuttosto che prima.

Stimoli allenanti e monitoraggio dei parametri legati alla forma fisica

Tramite l’allenamento con i sovraccarichi, oltre che sulla massa muscolare si può lavorare sulla forza (massima, veloce e resistente).

Questo ovviamente dipende dal tipo di stimolo allenante a cui viene sottoposto il nostro corpo.

In chiave di supercompensazione, riepiloghiamo: teoricamente l’allenamento altera l’omeostasi dell’organismo, successivamente va in compensazione e poi in supercompensazione, con la quale si dovrebbe portare ad uno stato di forma migliore di quello iniziale.

È tutta una questione di stress allenante e di successivo recupero, come ben sappiamo, ma… A volte i miglioramenti non si vedono per due motivi diametralmente opposti: gli stress sono inferiori o superiori al necessario.

Difficilmente 2 allenamenti a settimana produrranno dei risultati esaltanti per un natural, ma allo stesso modo potrebbe non essere sensato farne 14 (soprattutto se parliamo di bodybuilding).

A mio parere se un natural vuole risultati, a volte deve allenarsi più di un dopato (se quest’ultimo si allena davvero poco), ma allo stesso tempo un natural non può allenarsi quanto un dopato che utilizza volumi e frequenze folli (come spesso accade).

Pare che ci siano degli studi che a seconda del tipo di allenamento, segnalano le tempistiche adeguate per avere il giusto recupero tra un allenamento e l’altro, ma il problema risiede nel trattare come generico un qualcosa che invece è estremamente personalizzato e quindi variabile.

Gli strumenti per inquadrare i risultati di un programma di allenamento, allora, quali sono?

Uno è sicuramente il monitoraggio della performance, soprattutto negli sport dove questa si misura in gara (ma non solo).

L’altro è il monitoraggio della composizione corporea utilizzando la plicometria e/o la bioimpedenziometria (oltre alle circonferenze), metodi decisamente diffusi nel bodybuilding.

Così facendo è possibile avere un resoconto che permette di capire se la strada è quella giusta oppure se è il caso di aggiustare il tiro.

Frequenza degli allenamenti per il bodybuilding

Multifrequenza o monofrequenza? Buttiamola in corner: dipende (anche se amo la multi)!

Le variabili sono diverse e dipendono in generale dal soggetto con cui abbiamo a che fare, ma anche eventualmente dalle singole e diverse fasi di una preparazione agonistica.

Iniziamo col dire che questo non è un articolo nel quale si affronta il tema della scelta degli esercizi, quindi non dovrò spiegare se un monoarticolare come le croci con manubri ci permette realmente di isolare il pettorale al 100% oppure no.

A questo punto del discorso, il mio intento consiste solamente nel confrontare i due approcci, che ritengo entrambi validi ai fini del recupero (e quindi della compensazione)… Se si bilanciano correttamente l’intensità e il volume.

In questo momento della mia carriera professionale e della mia formazione, sono sempre più interessato all’allenamento: un po’ perché mi sono concentrato discretamente sulla nutrizione e mi sono fatto le mie idee (che sono sempre e comunque in evoluzione), ma soprattutto perché rispetto all’ambito nutrizionale, che ha diverse strategie attuabili ma magari non troppo appetibili per i miei gusti, mi affascina la possibilità di poter utilizzare diversi e nuovi metodi allenanti con una larga possibilità di sperimentazione.

Conosco atleti e preparatori che utilizzano approcci totalmente opposti, a partire dalla scelta tra multifrequenza e monofrequenza (e magari solo in alcune fasi di una preparazione).

La cosa interessante però è che tutti loro, in un modo o nell’altro, riescono sempre a portare a casa dei buoni risultati.

Quando devo scegliere tra multifrequenza e monofrequenza, un aspetto che valuto è la capacità di attivazione… Perché è la base del bodybuilding.

Alla fine è tutto un’attivazione, un reclutamento.

Ogni personal trainer ha avuto a che fare con una persona che almeno inizialmente non era minimamente in grado di capire come attivare il gran dorsale alla lat machine, cosa che porta un neofita a dire che sta usando “le braccia”.

Il gioco è tutto qui: sei un avanzato se attivi, se recluti più unità motorie, se hai un certo massimale rispetto al tuo peso corporeo, se sei avanti dal punto di vista neurale…

E se riesci quindi a “spremerti” a sufficienza con meno serie ad allenamento per gruppo muscolare, al punto di utilizzare una multifrequenza per riuscire a sviluppare un’intensità che non potresti impiegare su più serie in monofrequenza.

Una persona che entra per la prima volta in sala pesi, forse non sarà da breve e intenso (e tantomeno infrequente).

Il suo vocabolario dovrà includere: schemi motori, tecnica, multiarticolari, imparare ad attivare e ad esprimere intensità (di sforzo e di carico).

Insomma, lavorare sullo stimolo e sul potenziamento neurale per sfruttare tutto ciò in futuro. In breve: multifrequenza a più non posso, anche total body.

Un utente intermedio è nel mezzo, com’è facilmente intuibile.

Con un 80% del suo massimale di squat potrebbe fare 12 ripetizioni, non perché sia un guerriero ma perché non riesce nel massimale.

Dal punto di vista neurale è ancora acerbo, ma ha potenziale inespresso.

Fatica a spremersi e per questo potrebbe preferire 12 serie per i bicipiti in un unico allenamento al fine di percepirli esauriti, anziché suddividerle in più allenamenti.

Quindi la monofrequenza in generale potrebbe anche essere sensata.

L’avanzato solitamente predilige la multifrequenza e il motivo è semplice.

Prova a mettergli stacco, squat e complementari vari in un unico allenamento: gli distruggi la vita e non riesce a dare il 100% (se parliamo di un essere umano normale).

Ha la capacità di attivare e in più probabilmente utilizza carichi elevati rispetto al suo peso corporeo, per cui uno stacco da terra ad alta % di carico diventa notevolmente pesante a livello strutturale e neurale.

In un anno di preparazione si possono fare tante cose e si può anche usare la monofrequenza (magari “falsa”) in alcune fasi, ma generalmente si andrà di più sulla multifrequenza per poter distribuire il volume relativo ai singoli gruppi muscolari e mantenere un’intensità elevata negli allenamenti.

Riccardo Fila Robattino

Top Coach SBB

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